Una strana giostra
All’alba una musica leggera si sollevò dalla piazza principale.
Le note, dopo aver percorso lastricati, rimbalzato su muri e individuato gli infissi, superarono senza difficoltà i vetri delle finestre e giunsero lievi alle orecchie dei sonnecchianti abitanti, una dopo l’altra, attente a disporsi nella medesima sequenza in cui erano state prodotte.
Il più veloce ad affacciarsi alla finestra fu il signor Primo, secondo di due fratelli, che per dare un senso al suo nome era sempre alla ricerca di occasioni in cui anticipare gli altri.
«La musica!» urlò spalancando gli scuri. «Venite, c’è la musica!»
Si aprirono altre finestre e facce incuriosite si sporsero per scoprire, nel mezzo della piazzetta, qualcosa di nuovo e assolutamente inatteso: una giostra. Noncuranti di tante attenzioni, o forse solo abituati, i cavallini volteggiavano in cerchio tracciando nell’aria frequenze sinuose, per nulla sincronizzate col ritmo della musica ma non per questo meno aggraziate. In quel quadretto idilliaco mancava un solo elemento: i bambini.
Ecco allora che, tempo di svegliarli e una veloce colazione, la piazzetta si popolò di piccoli in estasi per la novità, e i genitori dovettero faticare parecchio per tenerli buoni in fila ad aspettare il proprio turno.
«Incredibile» commentò un signore sistemandosi sulla panchina e appoggiando poi una piccola coperta sulle gambe. Suo figlio era appena salito sul cavallo più esterno, cosa che rendeva più semplice seguirlo con lo guardo. «Sarà difficile farli scendere.»
«Vedrà» ribatté l’elegante signore seduto vicino a lui, che con gli occhi passava da un figlio all’altro per assicurarsi che si tenessero saldi sui cavalli, «domani tutto questo non ci sarà più.»
«Una giostra che dal niente appare e nel nulla sparisce? Dev’essere proprio magica.»
«È solo abusiva, glielo dico io: stanotte verrà smantellata.»
Tutti e tre i bambini si stavano divertendo, ed è strano notare come la medesima espressione – divertimento – possa in realtà esprimere situazioni così diverse: il primo bambino era felice perché aveva scelto il cavallo più esterno che, percorrendo più strada degli altri, gli avrebbe garantito il massimo dello spasso.
Il secondo sedeva dove il giostraio lo aveva fatto accomodare qualche corsa prima, si era divertito e quindi non aveva avuto motivo di cambiare: forse c’era, tra gli altri, un cavallo più spassoso, o magari lui aveva già il migliore di tutti. Dunque perché rischiare?
Il terzo bambino, invece, aveva scelto il primo cavallo disponibile, ma ci si era seduto al contrario: invece di guardare la strada da percorrere lui vedeva quella percorsa, e in quella posizione poteva osservare il volto degli altri bambini. Dalle loro espressioni cercava di stimare quanto si stessero divertendo, per stabilire ci fosse un legame tra l’ampiezza del sorriso, la posizione sulla giostra e il tempo di percorrenza. Aveva una teoria, ma gli servivano altre osservazioni.
«È bello che siano sulla stessa giostra» disse l’uomo con la copertina sulle gambe.
«Che sarà mai…» rispose l’altro.
«Beh, condividere centri di rotazione è una cosa importante.»
«Centri al plurale?»
«C’è quello della giostra…»
«Sì.»
«E quello della Terra.»
«Ah.»
«Già.»
«Ma quindi anche il Sole…»
«Esatto, col quello intorno al Sole fanno tre. Vede? Una volta che si cambia prospettiva, è tutto diverso.»
«Sarà… Ma a che serve?»
«Beh, magari in futuro scopriranno che l’amicizia dipende proprio da quello.»
«Dai centri di rotazione?»
«Dai punti che tengono assieme.»
«Ma noi tutti condividiamo rotazioni, eppure non siamo amici.»
«Già. E se il nostro errore fosse proprio questo?»
«Non c’è più» commentò il signor Primo affacciandosi alla finestra al giungere della nuova alba.Così come era apparsa la giostra era infatti sparita, e che fosse stata magica, abusiva o solo temporanea non importò a nessuno: ciascun adulto aveva infatti la propria verità, mentre i bambini non ritennero utile razionalizzare la cosa, impegnati com’erano nel ricordare e raccontarsi la bella esperienza.
Ai più sfuggì l’importanza di quanto i piccoli avevano condiviso quel giorno: un’esperienza, almeno tre centri di rotazione e, seppur ciascuno a modo proprio, divertimento. Mica poco.