Una scuola elevata
Era stata definita ”La scuola in cui era più difficile entrare” ma non per i suoi criteri d’ammissione, non particolarmente severi, quanto per l’essere situata in cima ad un grattacielo sprovvisto di ascensore. Per ricercare il motivo di tale mancanza bisogna risalire al suo ideatore, l’architetto Pensopiano, professionista brillante ma così sbadato da trovarsi a fine progetto con notevoli rimanenze. «Me le aspettavo più grandi» aveva commentato all’inaugurazione di alcune villette a schiera. Il Sindaco, presente all’evento, aveva dunque proposto la costruzione di un ulteriore edificio, opera che avrebbe permesso di smaltire il materiale avanzato.
«Ottima idea!» aveva commentato l’architetto. «Ne uscirà proprio un bel palazzo.»
«Alto quanto?» gli aveva chiesto il Sindaco.
«Non molto: quanto basta per finire le scorte.»
A fine lavori il paese si era così ritrovato qualcosa che in una città normale sarebbe stato definito un palazzo alto ma che, tra le basse costruzioni della zona, pareva proprio un grattacielo.
«Era avanzato più materiale del previsto» si giustificò l’architetto.
«Come fa a sbagliare di così tanto?» gli domandò il Sindaco.»
«Ha presente quando si fanno i disegni degli edifici, ma prima di costruirli e più in piccolo?»
«I disegni in scala?»
«Ecco: penso di avere problemi con le scale.»
«Ma nel grattacelo le ha messe, vero?»
«Che cosa?»
«Le scale.»
«Sindaco, così mi offende…»
«Non era mia intenzione. E l’ascensore l’ha messo?»
«Che ascensore?»
«Quello per salire.»
«Ci sono le scale…»
«Non è la stessa cosa: il palazzo è alto.»
«Quello che dice ha senso. Però di ascensori non me n’erano avanzati.»
Se da una parte l’assenza dell’ascensore scoraggiò i pigri dallo scegliere il palazzo come sede dei propri uffici, dall’altra permise ai fantasiosi di sfruttarne la singolarità: lo studio medico, ad esempio, trovò nel penultimo piano la propria sistemazione ideale: poteva infatti erogare esami sotto sforzo senza affaticare i pazienti, che arrivavano già provati per la salita.
Mettere la scuola all’ultimo piano era stata volontà del Preside, decisione non dettata da esigenze didattiche ma dal voler impedire ai ragazzi il gioco del pallone, sport che detestava da quando la sua ex l’aveva lasciato per un portiere. Per un beffardo caso di omonimia il nuovo compagno non solo lavorava nel palazzo, ma era colui che l’ignaro Preside salutava ogni mattina con un allegro «Buongiorno custode!»
Dai giardini limitrofi i bambini che l’indomani avrebbero cominciato la scuola guardavano con sospetto quell’edificio: c’era chi ancora non aveva capito la portata del cambiamento, chi si chiedeva che cosa si facesse esattamente in una scuola e chi confidava che un certificato medico attestante le vertigini lo avrebbe esonerato dall’intera faccenda. Alcuni genitori ebbero la premura di suggerire ai propri figli di godersi al massimo quella giornata, ultima di una stagione senza compiti, responsabilità e aspettative. Data l’assenza di termini di paragone molti bambini non poterono cogliere la portata del discorso genitoriale, ma questo non impedì loro di divertirsi comunque parecchio.